La grande scommessa - #005: Almanacco (vol. 2)
La grande scommessa
- di Luigi Coluccio -
#005 - Almanacco (vol. 2)
Ciao,
questa è La grande scommessa, la newsletter di Film Tv sull’industria del cinema e dell’intrattenimento in arrivo nella tua casella di posta ogni giovedì – il giorno del crollo di Wall Street nel ’29 e il giorno propizio al gioco d’azzardo.
***
Cos’è nato prima, l’uovo o la gallina (per Aristotele la gallina), la pandemia o la morte del cinema per come lo conosciamo? La spinta accelerazionista portata in dote dalla crisi globale sanitaria può non aver siglato la fine della Settima Arte, ma solo accentuato qualcosa che stava avvenendo prima, che stavamo cercando di raccontare e che poi ci è esplosa in faccia. Come un uovo – e quindi aveva ragione Plutarco...
C’è un Almanacco per tutto: il passato, il presente e, perché no, il futuro – in fin dei conti il Biff di Ritorno al futuro vuole lo Sports Almanac 1950-2000 per modificare non quello che è stato ma, appunto, quello che sarà... Ecco, questa settimana facciamo un salto indietro nel continuum andando a riprendere pagine sfogliate solo qualche mese fa, che per via del tempo dilatato e quasi invertito di quest’epoca pandemica sembrano invece appartenere ad un passato secolarizzato. Ma c’è trucco, c’è inganno, perché gli articoli che stiamo per rileggere sono sia causa che effetto dell’accelerazione causata dall’emergenza globale da SARS-CoV-2, le cui dirette conseguenze non abbiamo ancora effettivamente pesato e misurato: “È ancora questa la via?” e “Non aprite quella finestra”, scritti dal sottoscritto e apparsi sul cartaceo di Film Tv, rispettivamente, a novembre 2020 e marzo 2021, tracciano infatti due rivoluzioni copernicane all’interno dell’industria hollywoodiana, nel primo caso segnalando le nuove forme che in quel momento le media company stavano iniziando ad assumere, abbattendo i muri tra i vari comparti per accentrare creazione e produzione sotto degli smisurati centri decisionali con unico obiettivo un intrattenimento globale e multimediale; e nel secondo riportando le prime mosse degli studios riguardo le finestre distributive, cioè i periodi di esclusiva che ogni titolo deve osservare nei vari passaggi commerciali e di fruizione, e che dopo decenni di lotta ha visto inevitabilmente colpire le sale con la riduzione del tempo in cui un film è presente solo nei cinema prima di arrivare online, sull’home video e in tv. Riproponiamo questi due pezzi per, appunto, sottolineare ancora una volta come la nuova industria del cinema (e dell’intrattenimento) globale si stia disfacendo e riplasmando davanti ai nostri occhi, ed è proprio in momenti come questi che ragionare sui vari segmenti che compongono la filiera della settima forma d’arte ci aiuti a preservarla, questa arte. O almeno a ricordare com’era.
È ancora questa la via?
Topolino che duella con Darth Vader, Topolino che apre la pancia di un Alien, Topolino che bullizza Woody e Buzz Lightyear. Sono tante le possibilità combinatorie di un memista dei giorni d’oggi particolarmente attento e animoso nei confronti di una Disney che tutto annulla e assorbe – Pixar nel 2006, Marvel nel 2009, Lucasfilm nel 2012, Fox nel 2019. Quindici anni di acquisizioni e fusioni che hanno deformato lo studios fondato quasi un secolo fa dal patriarca Walt in un conglomerato industriale che abbraccia i parchi divertimento, la televisione, il teatro, le crociere e via elencando. E mentre gli indici di borsa tracciano una ripresa a V all’annuncio di un vaccino, la pubblicazione il 12 di questo mese del bilancio annuale Disney ha ricordato a tutti come anche la major guidata dal CEO Bob Chapek sia fragile di fronte ad una pandemia (andare a rivedersi Hollywood e la spagnola nel ’18), iscrivendo a registro un -710 milioni di dollari nell’ultimo trimestrale e una perdita complessiva di 2,8 miliardi per il 2020 (era dal 1980 che la compagnia non chiudeva un anno in negativo). Il settore che tira giù tutte le altre voci è naturalmente il famigerato “Parks, Experiences and Products”, una volta monotono motore immobile che portava in dote qualcosa come 20 miliardi di entrate l’anno e ora completamente in rosso visti i parchi chiusi, le navi in porto e il merchandising sugli scaffali – come sempre saranno i lavoratori più in basso a farne le spese, con il taglio di ben 28.000 posti annunciato ad inizio ottobre. E se questo sarà il segmento di mercato che soffrirà di più e più a lungo di tutti assieme agli studios cinematografici, altri angoli dell’impero Disney sono relativamente in pace, anzi, prosperano, come lo streaming. I numeri annunciati da Chapek sono netflixiani, ESPN+ 10 milioni di iscritti, Hulu 36,5 e in cima a tutti Disney+ con ben 73 milioni, di cui sedici aggiunti solo negli ultimi tre mesi. Per dare la giusta prospettiva: complessivamente Disney ha circa 120 milioni di sottoscrizioni, in anticipo di quattro anni sui piani aziendali, con Netflix a 195 milioni, una distanza che non così siderale se consideriamo che Disney+ ha solo un anno di vita e il duo Hulu/ESPN+ non è presente sui mercati internazionali. Messa così è ancora più chiaro perché Chapek e l’ex-plenipotenzario, e ora “solo” chairman, Bob Iger puntano sull’accelerazionismo provocato dalla pandemia (è una multinazionale, cosa vi aspettate?) per spostare l’intero focus sugli streaming service, dando il via alla più grande riorganizzazione mai effettuata a Hollywood, che vedrà il duo (da alcuni definiti i Tim Cook e Steve Jobs della Disney) a capo di una struttura divisa tra contenuti da una parte e business dall’altra: la sfera creativa sarà tripartita in Studios (cinema), General Entertainment (televisione) e Sports, mentre quella economica in un unico grande dipartimento, l’appena creata Disney Media & Entertainment Distribution (DMED). Un cambiamento radicale che permetterà ai creativi di concentrarsi unicamente sull’ideazione, lo sviluppo e la produzione ad ogni livello dei contenuti, mentre al comparto business spetteranno budget, distribuzione e pubblicità. E tutto questo sarà finalizzato alla crescita ulteriore degli streaming service Disney (a cui a breve dovrebbe aggiungersi la nuova piattaforma internazionale Star), verso i quali saranno diretti la maggior parte dei prodotti e degli sforzi organizzativi. Decisioni simili sono state prese da WarnerMedia e NBCUniversal, perché concentrare quasi tutti i processi realizzativi su una piattaforma streaming di proprietà significa non soltanto incassi diretti, ma anche e soprattutto controllare le finestre distributive di un titolo e il collezionare una mole gigantesca di dati sugli spettatori/consumatori. Il cambiamento di paradigma messo in moto da queste scelte ha delle potenzialità disgreganti su tanti piani, dalla destinazione finale di un contenuto che sarà decisa in modo programmatico soltanto dopo la sua realizzazione, ai reparti creativi che vengono così allontanati dal mercato, con i distributori e gli esercenti che si ritroveranno a non avere più nessun rapporto con gli executive con cui hanno sempre trattato. D’altronde il grande piano finale era proprio questo, perché se l’ecosistema globale dell’intrattenimento oggigiorno si sostiene a schiere di brand e franchise, allora la mossa vincente è quella di ammassare sotto un unico padrone IP (intellectual property) e cataloghi, cosa che la Disney ha fatto saldando la propria storia dell’animazione con le nuove tecnologie e il nuovo immaginario di John Lasseter, appropriandosi alla radice degli universi narrativi di Stan Lee e George Lucas, e mettendo le mani su uno degli studios che ha letteralmente fondato Hollywood – la Fox. Per poi lanciare tutto questo sull’unico, vero, mercato globale, lo streaming online. Se fossi un memista penserei a Topolino che si tatua un altro ricordo dei cari che non ci sono più, la “N” di Netflix.
(Film Tv n°47/2020)
Non aprite quella finestra
Una volta, a Los Angeles e nella San Fernando Valley, per vedere l’ultimo grande film in uscita, dovevi prendere la macchina e andare su su lungo il Santa Monica Boulevard, superare West Hollywood, il campus della UCLA e arrivare al National di Westwood, l’unica sala che avrebbe potuto proiettarlo nel raggio di sessanta chilometri. Era così che funzionava il mercato americano fino alla metà degli anni ’70, con il cinema più importante della piazza più importante che si accaparrava in esclusiva il titolo del momento, per poi, dopo delle lunghe, prestabilite, settimane, mollare il film alle sale di seconda categoria, e infine a quelle di terza. Lo sfruttamento commerciale di una pellicola durava almeno un paio di anni, con i mercati locali che si alternavano in modo progressivo, gli incassi che affluivano diligentemente ogni mese e i film che raggiungevano ogni tipo di pubblico. Poi Frank Yablans e Gene Klein si ubriacano e tutto va all’aria: Yablans era il presidente della Paramount, Klein della catena del National, e assieme, una notte, decidono di violare la consuetudine dell’esclusiva e far proiettare il prossimo grande film dello studio in contemporanea in diversi cinema. Il titolo? Il padrino... – quando Dick Lederer, responsabile marketing della Warner, vede gli incassi dei primi giorni de L’esorcista (uscito l’anno dopo nelle stesse modalità), sentenzia ad un produttore “Amico, la festa è finita. C’è gente a New York che guardando queste cifre dirà: si può davvero guadagnare così tanto con il cinema?”. Sì, e ancora di più, visto che dopo un decennio sbarca nei salotti la prima forma di home video commercialmente sostenibile, la vhs, e poi nei ’90 arrivano i dvd, nel nuovo millennio blu-ray e video on-demand: tutti nuovi canali per allungare la vita di un film, tutti nuovi modi di sfruttamento commerciale grazie alle finestre distributive – generalmente un film rimane in sala 75 giorni prima del lancio in premium video on-demand (PVOD), a 90 c’è l’uscita in dvd, poi la pay tv, quindi la tv generalista e ora i servizi streaming con sottoscrizione (streaming video-on demand, SVOD) e pubblicità (advertising video on-demand, AVOD). Da sempre l’industria cinematografica basa i suoi ricavi su queste finestre di esclusiva, segmentando la disponibilità di un titolo in varie fasce temporali, di prezzo, supporto, pubblico, per quella che il CEO di Netflix, Reed Hastings, definisce come “insoddisfazione controllata”; e da sempre gli studios cercano di far collassare queste finestre, accorciandole e sovrapponendole, con motivazioni economiche che sono sempre le stesse (dal massimizzare il passaggio in contemporanea su media differenti alla visibilità offerta dall’uscita nei cinema per lo sfruttamento su altri canali, passando per il risparmio nelle varie campagne pubblicitarie). E la Hollywood contemporanea fatta di poderose media company che hanno preso il posto degli studios cinematografici, dove nuovi dirigenti ed executives portano in dote l’esasperata cultura del consumatore delle big tech, le pratiche dei fondi di Wall Street e il considerare il mercato cinematografico come una sorta di business tradizionale oramai storicizzato, a questi storici obiettivi, dicevamo, somma due nuove, centrali, prospettive – lo spostare più spettatori possibili sulle piattaforme digitali di proprietà per trasformarli in utenti e infine in abbonati dei loro piani di telefonia e banda larga.
Grazie al moto accelerazionista fornito dalla pandemia da SARS-CoV-2, ai cinema chiusi, al crollo del box office (-80% tra 2020 e 2019) e ai circa 250 milioni di americani costretti a casa durante il lockdown di marzo 2020, uno ad uno gli studios nel corso di diversi mesi hanno svelato – e imposto – i loro piani: Warner farà esordire i suoi film contemporaneamente in sala e su HBO Max per i primi 31 giorni, dopo i quali saranno tolti dalla piattaforma e saranno di nuovo esclusiva dei cinema per i restanti giorni della classica finestra da 90, per poi infine andare in PVOD (non si sa quando dovrebbero tornare su HBO Max); Paramount prevede 45 giorni di esclusiva nelle sale e quindi il passaggio sul suo streaming service lanciato da appena un mese, Paramount+; Disney, al momento, ha optato per uscite “esplorative”, Hamilton e Soul disponibili su Disney+, Mulan e Raya e l’ultimo drago (quest’ultimo anche in sala) presenti sulla piattaforma ad un costo aggiuntivo per gli abbonati di 30 dollari; Universal ha stretto un accordo con AMC e Cinemark (rispettivamente prima e terza catena degli Usa, quasi 1.000 cinema in due), prevedendo una finestra in esclusiva di 17 giorni (tre weekend) per i film che aprono a meno di 50 milioni, e una di 31 giorni (cinque weekend) per quelli a più di 50 milioni, per poi passare in PVOD e solo dopo l’esaurirsi della finestra da 90 essere disponibili in video on-demand (le sale riceveranno una porzione, non si quanto, degli incassi del PVOD). La creazione di queste “finestre dinamiche” implica condizioni diverse e a volte perfino contraddittorie tra loro, e con i calendari delle uscite schiacciati tra l’andamento della pandemia e l’avanzamento dei piani vaccinali, è l’incertezza a dominare: poco prima di chiudere questo pezzo, Warner ha firmato un accordo con la seconda catena degli Usa, Regal, per far uscire a partire dal 2022 e in esclusiva nel suo circuito per 45 giorni i film dello studios, e Disney farà arrivare l’ultimo Pixar, Luca, esclusivamente su Disney+ (senza prezzo aggiuntivo), mentre Black Widow e Crudelia esordiranno in contemporanea nei cinema e sulla piattaforma (con l’accesso premium a 30 dollari per gli abbonati). L’industria del cinema sta di nuovo cambiando, anzi, è già cambiata – sempre che un executive non si sbronzi a un 1 km da Wall Street e decida di far saltare tutto, di nuovo.
(Film Tv n° 13/2021)
Alla prossima (sesta) settimana,
so long
Ci vediamo la prossima settimana con un nuovo appuntamento di La grande scommessa! Se ci vuoi segnalare qualcosa oppure semplicemente lasciare un messaggio relativo a questa newsletter, puoi scriverci all'indirizzo info@filmtv.press. Ciao!
Se La grande scommessa ti piace, inoltra la mail a qualcuno che possa essere interessato, è facile, ci si iscrive qui. Grazie!