La grande scommessa - #012: La geografia di Netflix
La grande scommessa
- di Luigi Coluccio -
#012 - La geografia di Netflix
Ciao,
questa è La grande scommessa, la newsletter di Film Tv sull’industria del cinema e dell’intrattenimento in arrivo nella tua casella di posta ogni irregolare giovedì – il giorno del crollo di Wall Street nel ’29 e il giorno propizio al gioco d’azzardo.
L’Impero Britannico aveva le sue radici di ferro nella Royal Navy, il Gold Standard e la regina Vittoria (o, ai nostri smaliziati giorni, Doctor Who, il tè e la regina Elisabetta). L’Impero del Contenuto di Reed Hastings e Ted Sarandos fonda la sua scalata globale sull’algoritmo, le sottoscrizioni e le traduzioni. Ma come fa Netflix ad andare alla guerra? Usando il sapere più importante: la geografia.
La vostra newsletter preferita sui numeri & i grafici colorati dell’industria del cinema ritorna con il primo appuntamento del 2022, e lo fa allargando ancora una volta le voci & le visioni. Questa uscita è infatti a firma di Matteo Berardini, direttore di Point Blank e curatore del volume L’arrivo del lupo – Netflix e la nuova tv, uno dei primi lavori italiani a occuparsi del fenomeno della Grande N Rossa. Dall’introduzione del libro – rimaneggiata e riaggiornata il necessario – è tratto il testo che segue, punto di partenza per un’analisi trasversale e in continuo movimento delle politiche produttivo-culturali di Netflix, la vera media company globale dei nostri giorni.
A lungo Netflix – fondata nel 1997 da Reed Hastings e Marc Randolph come società di noleggio via posta, divenuta servizio streaming online dal 2007 – è stata il campione solitario delle piattaforme Over-The-Top, l’unico marchio capace di avvolgere il mondo in una rete distributiva mondiale attraverso le risorse del digitale. Forte ancora di quel primato, Netflix è oggi affiancata da diversi servizi concorrenti (Disney+, Apple Tv+, Prime Video, HBO Max, Peacock Tv e Paramount+) la cui presenza ingombrante ha complicato i piani di crescita dell’azienda di Los Gatos, svelandone limiti e punti deboli. In particolare due sono gli aspetti che contraddistinguono in termini critici Netflix dai rivali: il suo essere una pura media company, e il non poter vantare proprietà intellettuali pregresse al suo sviluppo internazionale. Riguardo il primo punto, Netflix è un’azienda dedita all’esclusiva produzione e distribuzione streaming di contenuti multimediali. Ne consegue un modello di business incentrato sul prezzo dell’abbonamento, una focalizzazione che manca ai suoi competitor che sono invece trasversali e diversificati nelle loro identità aziendali: per Amazon e Apple il mercato streaming sarà sempre e solo un aspetto strategico di una più complessa pianificazione commerciale, che rimane incentrata sulla vendita di prodotti fisici; HBO Max, Peacock e Paramount sono parti di conglomerati mediali i cui interessi vanno dalle telecomunicazioni all’editoria passando per cinema e televisione; Disney non solo è estremamente radicata sul piano materiale (su tutto la catena nevralgica dei parchi a tema) ma ha dalla sua un parco licenze in costante espansione e tanto radicato nel tempo e nell’immaginario da fornire infinite possibilità di merchandising, vera linfa vitale dell’impero. Di qui il secondo punto, ovvero l’accesso ai titoli, alla materia prima del contenuto audiovisivo: tornati a un sistema distributivo simile all’organizzazione verticale dello Studio System pre-sentenza Paramount del 1948, in cui i vari conglomerati multimediali possono distribuire in prima persona i loro contenuti attraverso i propri canali streaming, la library di ciascun servizio diventa un patrimonio riservato difficilmente negoziabile. È così che, tra mega acquisizioni di immaginario (Amazon che assorbe il catalogo dell’ex big five MGM) e licenze cedute in tempi non sospetti ma ormai in scadenza, per la giovane Netflix diventa fondamentale investire sulla produzione di materiale originale che possa rimpolpare una library altrimenti in esaurimento. La parola chiave è una sola, espansione, tanto in termini geografici che di catalogo: una crescita costante e radicata paese dopo paese è l’unico modo che Netflix ha, ad oggi, per aumentare i propri ricavi, in un equilibrio delicato tra investimenti, debito e spese di crescita, e affinché questo avvenga è necessario continuare a offrire un catalogo di titoli ampio e accattivante, in cui non si senta la mancanza delle proprietà intellettuali terze ritornate ai rispettivi ovili. Non dovrebbe sorprenderci quindi che Hastings e soci si siano concentrati sulla crescita internazionale e sulla produzione sistematica di materiale originale, i cosiddetti “Netflix Originals”: la sua sopravvivenza dipende dall’aver compreso che solo interlacciando queste due linee di sviluppo sarà possibile conservare il proprio status di piattaforma principe sul mercato, ed è proprio questa consapevolezza ad aver guidato la sua strategia globale di geolocalizzazione.
La grande marcia
L’espansione internazionale di Netflix inizia nel 2010, quando l’azienda sceglie il Canada come esordio ideale data la forte vicinanza geo-culturale agli Stati Uniti. L’anno successivo il colosso di Los Gatos fa il primo dei tanti passi lunghi a cui siamo abituati, annettendo in un sol colpo tutto il Sud America, un continente variegato che porrà sfide importanti ma che si affermerà anche come un grande laboratorio di espansione. L’America del Sud infatti è una scelta ambiziosa ma strategica: si tratta di una macroregione in cui sono presenti soltanto due lingue, per un insieme di paesi in crescita in cui il basso costo del servizio può essere determinante per un’adesione capillare e tempestiva. Si tratta di coinvolgere nella rete tecnologica globale una regione spesso lasciata ai margini, nella quale – ad esempio – il primo negozio iTunes messicano ha aperto solo nel 2009. Un terreno vergine però non è fatto solo di opportunità ma anche di sfide: essere il primo servizio streaming a raggiungere il continente significa confrontarsi con problemi strutturali che verranno poi a ripresentarsi, in forme e intensità diverse, lungo tutto il processo di espansione mondiale. L’America Latina obbliga Netflix a scontrarsi con l’inadeguatezza tecnologica delle infrastrutture, con le specificità dei sistemi di pagamento locali, con le regolamentazioni e la presenza di competitor nazionali. Ma l’azienda impara in fretta e il rendiconto si fa enorme: milioni di nuovi abbonati si uniscono dai vari paesi del continente, una crescita che Netflix capitalizza e incentiva con la produzione apposita di due Netflix Originals che saranno fondamentali per la sua storia, cioè il messicano e primo Original internazionale, Club of Crows, e Narcos, coproduzione di Stati Uniti e Colombia che diverrà non solo un successo in tutto il mondo ma anche un tassello chiave dell’immagine pubblica di Netflix. La strategia si fa evidente: per mantenere il proprio modello di business l’azienda ha bisogno di aumentare la base di abbonati, e per farlo è necessario imporsi a livello internazionale; in questa logica di espansione un ruolo determinante lo giocano quindi le produzioni originali locali, il cui obiettivo è anzitutto radicare l’uso del servizio negli usi e costumi del paese interessato, e in seconda battuta sfruttare la declinazione locale di generi e storie per arricchire la library globale di contenuti dal sapore esotico ma comunque familiari. È la cosiddetta strategia glocal, che si nutre di contenuti studiati tanto per il mercato nazionale di riferimento quanto per la distribuzione internazionale; una globalizzazione dell’intrattenimento, nella cui logica Narcos si rivela un successo su tutta una linea, capace com’è di catturare i suoi due macro-pubblici di riferimento (quello statunitense e quello latino) per conquistare poi anche gli abbonati europei. Perché lo sbarco nel Vecchio Continente è ormai alle porte: forte del successo locale di show ben radicati nella cultura autoctona Netflix può adesso puntare all’Europa, estendendo il suo servizio nel giro di pochi anni a quasi tutti i paesi di qua dell’Atlantico. Di pari passo aumentano esponenzialmente gli investimenti in contenuti internazionali, tanto che in quattro anni vengono realizzate in tutto il mondo più di trenta serie originali in lingua straniera.
La nuova coda
Nell’era del narrowcasting, ovvero della comunicazione “ristretta” pensata per raggiungere segmenti di audience selezionati per essere più ricettivi rispetto al contenuto del messaggio in oggetto, diventa determinante parlare alle nicchie di pubblico, ampliando la propria offerta con contenuti specifici creati per rivolgersi con la massima efficienza a micro-target di riferimento. È il modello economico della coda lunga, che trova nell’orizzonte glocal interpretato dai big data la sua apoteosi di frammentazione e specificazione del messaggio. Appiattiti i costi di distribuzione grazie alla tecnologia streaming e delocalizzata la produzione di contenuti originali su scala pressoché mondiale, Netflix può sfruttare la sua library per analizzare il proprio pubblico e suddividerlo in tanti piccoli settori, ciascuno dei quali sarà raggiunto e soddisfatto con un contenuto pensato appositamente per lui. Convergono qui i concetti di nicchia, delocalizzazione postfordista del lavoro, distribuzione localizzata e personalizzazione del consumo da parte degli utenti, e un ruolo fondamentale in questo ribollire di contenuti e pubblici in espansione lo svolge proprio la cultura locale del paese appena raggiunto, che da forza respingente per il servizio streaming (visto dal nuovo pubblico potenziale come un insieme di contenuti lontani dal proprio contesto di appartenenza) diventa gradualmente la chiave per convertire quella comunità nazionale in nuovi abbonati. Per capire come funziona questo passaggio riprendiamo quanto scritto da Elia Margarita Cornelio-Marí sull’espansione di Netflix in America Latina nel collettivo The Age of Netflix, in un’analisi che recupera a sua volta le osservazioni proposte dal sociologo Jean Chalaby riguardo la crescita mondiale dei conglomerati mediali. Chalaby offre un modello a tre passaggi per spiegare come le media company globali riescano a raggiungere i mercati nazionali per poi moltiplicarsi al loro interno, nonostante per farlo debbano interagire con una forte identità locale; al netto di pochi aggiornamenti, Cornelio-Marí trasla lo schema alla questione streaming indicando quali sono i tre livelli di penetrazione del servizio in relazione alla cultura locale del paese appena raggiunto dalla piattaforma: 1) traduzione del contenuto offerto tramite doppiaggio o sottotitolazione, 2) personalizzazione nazionale della library e 3) creazione di contenuti originali. Quella esercitata da Netflix quindi è un’espansione strategica non del tutto nuova, che recupera quanto fatto storicamente dai giganti delle telecomunicazioni fin dagli anni ‘80 (con l’affermazione della tecnologia via cavo e annessa nascita della Pay TV) e lo applica alle nuove possibilità offerte dal digitale e dallo streaming. Ed è in particolare la terza fase del processo a interessarci in questa sede, in quanto è lì che Netflix gioca la sua partita glocal sulla scacchiera mondiale, dimostrando di favorire produzioni locali secondo tre direttive: contenuti dall’appeal evidentemente internazionale, pensati fin da subito in ottica globale per sfruttare le caratteristiche locali al fine di imporsi dentro e fuori il paese d’origine (è il caso eclatante di Narcos e di serie come Dark, Élite, Sex Education o La casa di carta); contenuti ibridi per un pubblico locale ma realizzati con standard tecnico-produttivi tali da renderli competitivi sul piano internazionale (rientrano nel gruppo il nostro Baby, le varie serie crime scandinave e il “campione d’incassi” Squid Game); contenuti esclusivamente locali e tendenzialmente limitati nella produzione, poco o nulla pubblicizzati al di fuori del paese d’origine perché pensati per comunità dall’economia emergente e dal forte pubblico autoctono (come l’India). È solo alla luce di queste considerazioni che l’ambizione dichiarata di Netflix (annettere i suoi abbonati alla prima grande rete globale di contenuti multimediali) svela la sua complessità più profonda, la sua natura di campo attraversato da forze centrifughe e centripete, in cui la cultura locale diventa prima qualcosa verso cui approssimarsi e dopo un elemento identitario da standardizzare e rendere vendibile all’estero. Ma l’espansione globale pone questioni inedite tanto per gli spettatori quanto per i singoli contesti produttivi che vengono via via toccati dall’azienda; si delineano certo opportunità inedite sul fronte economico e realizzativo, ma anche una forte spinta alla normalizzazione e all’inquadramento algoritmico, per la cui logica la specificità locale rischia di limitarsi a essere quella sfumatura in più che diversifica un contenuto nato per essere globalizzato. I vari sistemi audiovisivi nazionali, toccati uno ad uno dall’espansione di un servizio che sempre più fa della delocalizzazione produttiva il suo asse pivotale, hanno certo la possibilità di reinventarsi e modernizzarsi sotto la spinta del mercato globale. Ma a quale costo?
La cine-geografia
Con una crescita esponenziale di film e serie tv originals internazionali messi in campo negli ultimi anni, Netflix persegue un piano di espansione dalla velocità sorprendente, specie considerato che a queste produzioni seriali vanno poi aggiunti i numerosi film originali comprati sui mercati festivalieri di tutto il mondo o frutto di acquisizione in fase pre-produttiva. Da una situazione così dinamica emergono alcune tendenze evidenti, strategie di un’espansione globale pensata in una direzione precisa. Dovessimo definire con una formula univoca il panorama degli attuali Netflix Originals internazionali potremmo parlare di geolocalizzazione serializzata, locuzione nebulosa ma che sarà più chiara se partiamo da un parallelo con il particolare modello di narrazione seriale con cui i primi Marvel Studios hanno radicato il cinecomic nel consumo audiovisivo contemporaneo. Dai tempi di Iron Man la Casa delle Idee deve il suo successo al fatto di aver adottato una logica seriale basata sul concetto espanso di continuity, strategia mutuata dal mondo fumettistico grazie alla quale ogni film diviene non solo un episodio di una grande saga ma anche un tassello ulteriore di un universo condiviso e in espansione. Per raggiungere un equilibrio tra le esigenze del singolo film e quelle della serie, la Marvel assegna quindi a ogni protagonista un genere forte di riferimento (la screwball comedy per Iron Man, l’epica fantascientifica per Thor, l’action per Capitan America) che va a caratterizzare il personaggio e con lui i singoli episodi di cui è protagonista, così da creare un palinsesto trasversale in cui le manifestazioni individuali del cinecomic si dispongono lungo un orizzonte serializzato che le ordina e assorbe tutte. Come uno spettro d’onda che va da un polo all’altro, il cinecomic si declina così di volta in volta in forme leggermente diverse, distribuite nell’arco del tempo e pensate per restituire nel loro insieme il macro-genere in tutte le sue possibili sfaccettature. Se guardiamo all’insieme di contenuti glocal di Netflix appare evidente come il gigante californiano stia perseguendo una strategia molto simile, sfruttando la declinazione locale di generi altamente strutturati e riconoscibili per creare un palinsesto dinamico, non più lineare e quotidiano ma interattivo e su scala annuale, capace di offrire alle varie nicchie del pubblico globale un susseguirsi di contenuti relativi al loro genere preferito realizzati di volta in volta con sfumature diverse. È questa che chiamiamo “geolocalizzazione serializzata”, quando l’identità nazionale offerta dai contenuti originali realizzati nei vari paesi fa da base alla diversificazione di un macro-genere, e diventa così lo strumento primario per mantenere i pubblici targetizzati agganciati al servizio, consapevoli che ogni tot di settimane verrà offerto loro un nuovo contenuto di un dato tipo ma dal sapore diverso. Il 2018, caratterizzato dal suo exploit produttivo, sembra essere il primo anno in cui tale strategia si afferma in modo compiuto, strutturata secondo precisi macro-generi di riferimento e indirizzata a un’esatta fascia di pubblico, quella giovanile, su cui Netflix ha evidentemente scelto di investire e per il cui tempo libero – risorsa limitata e contesa tra le varie forme di intrattenimento – sta combattendo con sempre maggior determinazione. Guardando all’insieme di queste serie internazionali possiamo quindi individuare tre filoni principali: 1) contenuti teen dai temi prevalentemente adolescenziali; 2) contenuti fantasy in senso lato, che declinano il fantastico dalla distopia al post-apocalittico passando per horror e supereroi; 3) contenuti crime, e – tenendo presente la forte targetizzazione teen che sempre più caratterizza la produzione generale di Netflix – non sorprende che sia proprio nel primo gruppo che la geolocalizzazione serializzata si sia manifestata in modo più compiuto. Il lancio ravvicinato, tra il 2018 e il 2019, di Baby, Élite, e Sex Education ha restituito con evidenza il tentativo (assolutamente riuscito) da parte di Netflix di offrire per quei mesi un palinsesto scandito da unità narrative dotate di identità ma pensate per un percorso più grande di loro, in cui il rapporto tra singolo show e cornice di genere richiama le logiche dei canali tematici tipici della tv via cavo e restituisce in forma nuova un’identità di rete nell’era del post-network. Come sempre accade nel consumo mediale le logiche culturali ed economiche evolvono ma raramente scompaiono, ed ecco così che strumenti tipicamente network come quello del palinsesto escono dalla porta ma ritornano dalla finestra, rivelandosi risorse preziose in quel complesso campo di espansione (territoriale e contenutistica) su cui Netflix gioca la partita della sua sopravvivenza.
Matteo Berardini è dottorando in Cinema all’Università di Roma Tor Vergata, dove si occupa di reception studies, serialità e cinema postmoderno, principalmente in ottica culturale. Direttore della rivista online Point Blank, collabora con Film Tv, Cineforum Web, Gli Spietati e INLAND – Quaderni di cinema, oltre che insegnare media studies nella scuola di cinema di Sentieri Selvaggi.
Alla prossima uscita,
so long
Ci vediamo la prossima volta con un nuovo appuntamento di La grande scommessa! Se ci vuoi segnalare qualcosa oppure semplicemente lasciare un messaggio relativo a questa newsletter, puoi scriverci all'indirizzo info@filmtv.press. Ciao!
Se La grande scommessa ti piace, inoltra la mail a qualcuno che possa essere interessato, è facile, ci si iscrive qui. Grazie!